Il silenzio dell’atrio era interrotto solo dal rumore dei suoi passi. Era ora di chiusura e ogni sera un vigilante saliva sino all’ultimo piano per controllare che tutto fosse a posto.
Di solito non andava mai uno solo , ma quella sera il suo collega era febbricitante e senza pensarci troppo, lei lo rassicurò:
– Dai, non preoccuparti, un’occhiata veloce e torno giù. –
Durante il giorno la Mole era invasa da visitatori interessati al Museo del Cinema, ma anche attratti dall’imponenza dell’edificio.
Dopo la chiusura era come se quel luogo si riappropriasse delle proprie mura, iniziasse a pulsare e vivere di vita propria, pur mantenendo eco di voci e traccia di passaggio.
Il segnale acustico precedette l’apertura automatica delle porte, entrò e premette il comando che l’avrebbe portata, in un’unica campata che le trasparenti pareti di cristallo rendevano sempre gradevole , sino agli ottantacinque metri del Tempietto.
Avrebbe seguito il solito ordine cronologico, sino a tornare al piano terra.
– Sei arrivata. Finalmente! –
Sussultò a quella voce e in un lampo realizzò di trovarsi di fronte a un uomo poggiato a un bastone.
Le spalle leggermente incurvate, un mantello nero lo rivestiva di un alone di mistero e grande autorevolezza.
Miriam si sentì raggelare e d’istinto portò la mano all’arma appesa alla sua cintola.
– Che ci fa lei qui? –
La sua voce nervosa le suonò stridula mentre intanto oltrepassava la porta dell’ascensore.
Capelli bianchi, un volto scavato, naso adunco, non appena quegli occhi penetranti si furono incrociati con i suoi provò la stranissima sensazione di una vaga familiarità e avvertì l’irrazionale certezza che nulla di male le sarebbe potuto accadere.
– Miriam, dobbiamo chiudere il cerchio!
– Il cerchio? Mi scusi, già non riesco a comprendere come mai lei si trovi qui, a quest’ora…Ma di cosa sta parlando? E come fa a conoscere il mio nome? –
Gli si avvicinò lentamente cercando di non allarmarlo.
L’uomo sollevò l’ampio mantello che indossava poggiato semiaperto sulle spalle e che lo copriva sino alle ginocchia. Le apparve come se quella figura fosse saltata fuori da un quadro antico.
Poggiato al suo elegante bastone di noce dal pomo d’argento e dalla punta metallica, non sembrava però mostrare debolezza, tutt’altro.
Dal lembo del mantello sollevato s’intravvedeva un abito scuro e una catenella che fuoriusciva da un taschino. Estrasse un orologio guardando che ora fosse.
– Andiamo, è tardi! Ci sono molte scale da salire per raggiungere la cima. Maledetti! Si possono, secondo te, bloccare i lavori, simili lavori! Perché? Per mancanza di fondi! Per mancanza di fondi a meno di 10 metri dal ballatoio della lanterna! Un’opera, la mia opera! L’orgoglio di questa città e dell’Italia intera. Tutti i progetti presentati alla commissione dell’Università Israelitica, tutti erano stati considerati insoddisfacenti. Poi, mi interpellano: ” Lei saprà realizzare qualcosa di grandioso, architetto Antonelli, lei può, anzi deve! ”
Miriam spalancò gli occhi.
“Architetto Antonelli? Dio mio, ci mancava pure un pazzo! Che faccio? Adesso che faccio?” pensò la ragazza cercando di mantenere la calma.
Lui intanto continuava col suo frenetico racconto.
– Tauriel, il genio alato, era lì il suo posto. Ma il tempo…non c’è stato tempo…-
Miriam era sempre più perplessa. Era un’allucinazione. Ecco, “doveva” trattarsi di un’allucinazione.
D’un tratto le tornarono in mente le parole di sua nonna Elisabetta:
“Anche le cose che sembrano più strane hanno una spiegazione. Tutte.”
D’istinto portò la mano al petto a sfiorare, sotto la giacca della divisa, il ciondolo d’oro, un dono ricevuto per il suo diciottesimo compleanno da quest’ultima.
” Non toglierlo mai, è dono di mia madre.”
– Perché lei si trova qui? – chiese la ragazza spaventatissima.
– Per vedere la mia opera compiuta, lasciare andare ciò che ancora mi lega qui. Il mio tempo qui si era compiuto ma non posso passare oltre se non dopo che il cerchio si chiuda. –
Miriam tremò. Era sola davanti a un pazzo, un visionario che credeva d’essere morto.
“Svegliati Miriam, dai, svegliati! E potrai ridere raccontandolo ai tuoi amici. ” Pensò.
Ma lui , avvicinandosi ancora di più, allungò il braccio e poggiò con forza una mano sulla sua spalla.
– Portami su, fammi vedere la città dalla Mole. Voglio vedere cosa sia è accaduto dopo…Dopo che il mio tempo è finito. –
– Bisogna salire a piedi, lei non ce la farà, ci sono ancora tanti gradini. –
– Ci sei tu. Tu sei l’unica che possa e che deve accompagnarmi. Miriam. Le forze del male provarono a distruggere l’Angelo e lui precipitò, colpito da un fulmine, ma non uccise nessuno. Fu la Sacra Madre a frenare la caduta. Non colpì nessuno, comprendi? E miracolosamente arrivò giù intatto. Nulla di ciò che vedi non fu studiato da me nei minimi particolari. –
Poi puntò il suo sguardo sulla mano sinistra della ragazza che stringeva tra le dita il ciondolo.
– Miriam, quanto l’ho amata! Le donai quel ciondolo a un anno dal nostro incontro.
Come fu felice, la mia Miram quando aprì quel cofanetto di velluto blu, quando vide le nostre iniziali incise sul retro del gioiello! –
La voce sembrò quasi soffocare in un attimo di commozione che gli velò gli occhi.
– Ma come è possibile? Come fa a conoscere il mio nome e a sapere certe cose?- Miriam era allibita.
– Il tempo non esiste, ragazza mia. Non seppi mai dell’esistenza di mia figlia, nata da Miriam ( tu porti il suo nome), che poco giorni prima della fine del mio tempo in questo mondo. Solo allora, dopo anni e anni in cui mai più l’avevo rivista , per sua volontà, conobbi la verità. Una lettera consegnata da un notaio. Questa. –
Le porse un foglio ingiallito. Miriam iniziò così a leggere:
“Non si poteva cambiare il viaggio di un fiume che, deviato dal suo corso, nel suo nuovo scorrere avrebbe devastato tutto ciò che avesse incontrato, tutto sommergendo.
La mia situazione, la tua. Sull’infelicità d’altri non avremmo costruito gioia di vivere. Ma il destino ha voluto che mai ci potessimo lasciare davvero. Dentro di me cresceva il frutto del nostro amore. Mai alcuno seppe che quella bimba che sbocciò, come una rosa in un radioso mattino di maggio, non fosse figlia dell’uomo che avevo sposato. Fu giusto, almeno per me, che neanche tu, legato alla tua sposa, mai lo sapessi. Alla mia morte, il notaio consegnerà, se tu sarai ancora in vita, questa mia. In caso contrario la distruggerà. Giungerà il tempo in cui si chiuderà il cerchio e saremo insieme per sempre. Com eterno amore, tua Miriam”
La ragazza ormai non poteva avere alcun dubbio. Non sapeva quale forza sconosciuta avesse potuto aprire un tunnel temporale in cui si sarebbero evidentemente dovuti incontrare, ma ciò che comprese in un lampo fu che l’uomo che aveva di fronte o quell’entità altri non era che un uomo che aveva amato la sua bisnonna.
Quell’uomo era il suo bisnonno! Tutto le apparve logico in una situazione che di logica non aveva la benché minima parvenza.
– Andiamo. Andiamo. – Disse rivolta all’uomo.
Attraversarono l’apertura obliqua che dava accesso alla scala che li avrebbe condotti alla terrazza. Miriam si poggiò al passamano per poter bilanciare il peso dell’uomo che lentamente saliva poggiandosi a lei,un gradino per volta. Le pareti, ricoperte di pietra e inclinate anch’esse, davano quasi un senso di vertigine.
Si ritrovarono così sotto un cielo arrossato dal sole ormai scomparso nel cielo della sera. La città si estendeva tutt’intorno, leggermente appannata da una lieve foschia. In fondo catene di monti, alcune cime innevate.
Restarono a lungo in silenzio, in piedi, poggiati alla ringhiera.
Lo sguardo calamitato sul viso dell’uomo. Un viso sereno, di chi è in pace col mondo.
D’un tratto lui si girò e l’abbracciò. Fu una frazione di secondo, come in un capogiro, lei chiuse gli occhi, li riaprì nelle stesso istante in cui lui la lasciò libera.
Il vecchio allungò la mano in una carezza lieve e le porse la lettera sussurrandole:
– Abbiamo chiuso il cerchio! –
Lei non fece quasi in tempo a trattenerla, che lui rapidamente scomparve, dissolvendosi in un tenue raggio di luce.
Il trillo del suo cellulare la fece sobbalzare. Erano passati minuti, ore?
– Dai, sbrigati! Come mai ancora non vieni giù? – Il suo collega era preoccupato per il suo ritardo.
Lentamente ripercorse il percorso a ritroso sino all’ascensore.
Nessuno avrebbe saputo. Nessuno avrebbe creduto.
Sorrise, pensando in preda a una strana euforia: “Adesso il cerchio è chiuso. Riposa in pace, nonno.”
Due metà dello stesso cerchio a volte si ricongiungono per raggiungere nella continuità l’assoluta perfezione.
Emma Di Stefano
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