Non è facile la vita di un gatto. Proprio no, quando sei nato nero. Dotati dalla natura di un corpo agile e scattante, di grande classe ed eleganza, anche noi abbiamo i nostri problemi.
Ho un pelo nero e lucido come morbido velluto e occhi che fendono il buio nel quale mi mimetizzo con estrema facilità, ma sin dal giorno in cui venni al mondo fui ben istruita a difendermi dagli umani.
– Il tuo colore, è quello il problema. Gli umani sono esseri di cui diffidare, pericolosi. Sostengono che noi portiamo sfortuna. Come se noi potessimo decidere della loro sorte. Irresponsabili, incoscienti. E spesso crudeli! Tanto da doverci nascondere. Alcuni ci usano come vittime sacrificali. Nasconditi! Sparisci in quella notte che sembra di festa ma che per noi significa morte!-
Mentre parlava, il corpo di mia madre era percorso da un tremito di terrore.
Comunque la mia vita era bella, vivevo vicino a un grande parco insieme ad altri gatti amici e di certo non ci mancava il cibo e la possibilità di scorrazzare in mezzo agli alberi.
Arrivò quella notte e decisi di non farmi vedere troppo in giro. Una notte piovosissima e fredda, io ero al riparo nel tronco cavo di un enorme albero in prossimità di uno degli ingressi del parco.
A un tratto un boato terribile mi fece schizzare come una saetta, mi trovai sotto la pioggia sferzante a guardare la cima del grande albero che ondeggiava come percosso da feroci raffiche di vento.
Sentii il rumore di un’auto avvicinarsi, mi girai di scatto e decisi d’attraversare la strada per raggiungere l’atrio di una palazzina in cui spesso trovavo riparo.
Uno stridore di freni, i fari dell’auto. Lo guardai e lui mi guardò. Fu una questione di secondi, un tonfo e l’albero che era stato la mia casa per tutta l’estate, si spezzò invadendo completamente la carreggiata. L’uomo saltò fuori dall’auto, gli occhi sbarrati. Intanto io lo guardavo, incuriosita, mentre lui armeggiava con uno di quegli strani aggeggi da cui gli umani non si allontanano mai.
– Un albero. Sono sul viale del parco… Caduto davanti alla macchina. Il gatto nero. Eccolo. Ti chiamo dopo…ti chiamo dopo… –
Si avvicinò lentamente e poi si accovacciò.
– Vieni qui, dai, vieni! –
Sentii di potermi fidare e mi feci prendere in braccio. Eravamo zuppi e lui mi portò nella sua auto.
Fece inversione di marcia e in qualche minuto arrivammo a casa sua.
Che dire? Da quel giorno sono felice. Una casa bellissima, un giardino, due bambini adorabili che mi coccolano. Le sere d’inverno al calduccio a sonnecchiare in una cesta rivestita di panno rosso.
A proposito: adesso ho un nome. Mi chiamo Godspeed.
Emma Di Stefano